Quando La Stampa si legge in 57 classi: così l’Alberghiero fa riflettere i ragazzi - La Stampa

2022-10-07 23:44:14 By : Ms. Vivi Gu

La voce de La Stampa

Iniziativa a Mondovì dove ogni mattina grazie al quotidiano si sviluppa il senso critico degli studenti

Come salvare i ragazzi dalle fake news. Un viaggio chiamato informazione da qualche parte dovrà pure iniziare. E lo fa con una scuola alberghiera dove una preside e un insegnante - Donatella Garello e Danilo Guerra - hanno deciso di portare il quotidiano nelle loro 57 classi. A Mondovì si legge ogni giorno La Stampa. Così il giornale per i ragazzi diventa una finestra sul mondo: senso critico. L’informazione in aiuto di una scuola che «ha abituato questi ragazzi a domanda risposta».

Ecco la povertà verbale del sistema: la dimensione piatta, non circolare del pensiero. E fuori va anche peggio.

Dice la preside: «La loro longa manus è il telefonino. Lì trovano le notizie pronte all’uso dei social con le fake news che si sono portate dietro di tutto». Qui invece si cerca di costruire un’altra scuola. Dei piccoli passi: il visual learning, più semplicemente corridoi tappezzati di cartonati parlanti con citazioni da Hegel a Borsellino. Poi i calendari emozionali, a misura del loro tempo e linguaggio: zeppo di emoticon. «Come stai oggi?». Gli studenti rispondono appendendo faccine: chi non può fare a meno della tristezza, chi sceglie di vestire l’emozione, chi gli occhi a cuore. Per gli insegnanti sono contrappunti: guardo me, vedo l’altro.

«Agli studenti servono per guardarsi dentro per un attimo e ai loro compagni per alzare gli occhi da sé, accorgersi di chi sta loro intorno, delle loro faccine appese» aggiunge Guerra.

Ma l’Alberghiero di Mondovì è anche una scuola phone-free: il primo gesto del mattino, entrati in aula, è lasciare in una multi tasca appesa all’ingresso il proprio cellulare: «Non è obbligatorio ma consigliato - spiega la Garello - e lo abbiamo concordato con le famiglie. I ragazzi devono staccarsi dall’iper connessione e il solco di solitudine che crea intorno».

Si ripone il mondo in tasca e si apre quello degli altri. Con gli altri. Attraverso un giornale. In terza F, con i ragazzi che studiano per fare accoglienza negli hotel, Roberto Rossetti scorre sulla lavagna interattiva le pagine del giorno. Gira la ruota delle notizie. Attualità: la guerra, «la solita guerra» aggiunge qualcuno, e la politica. Nei giorni di Giorgia: sospesi tra il fiele di una campagna elettorale da dimenticare e l’effimera luna di miele con gli italiani. E nelle ore in cui la Meloni non parla: ed è più ingombrante che mai.

Il prof di italiano: «Le ultime elezioni senza di voi premiano una donna. Che ne pensate?». Che la sua personalità è divisiva: «Ma vogliamo vederla al lavoro, come si comporterà. Non vedo l’ora di votare: è una grande responsabilità» dice Ivan.

Altri suoi compagni no, non ci credono e tradiscono, non visti, uno sguardo che non dovrebbero avere: smagato, appesantito. Lo sguardo no future. Le ragazze sono più combattive: Gaia, Asia, Giada, Chiara. La politica per loro è su Tik Tok: hanno visto i video di Berlusconi nel suo imbarazzante crepuscolo e ora guardano sui social l’Italia che torna in piazza. A difendere il diritto di una donna di non volere un figlio. Non perché sia disgraziata, altri figli, miseria o solitudine: ma per il solo fatto di aver deciso.

«L’aborto non è un’elemosina o una concessione alla disperazione: è un diritto». E queste ragazze lo sentono prima di saperlo: perché stanno imparando la fatica di essere donne. «Avrei voluto essere in piazza con loro, con le ragazze di Torino per dire che il corpo è mio» è il pensiero di Gaia. Ed è qui che un giornale, l’attualità del mondo che racconta, si rinnova: nel tempo, nei topos. Non solo più pensando: ma connettendo.

«Ricordate? Cosa stiamo studiando, ragazzi? Lo Stil Novo, l’idea della donna angelicata, da adorare: il feticcio di cui disporre» dice Rossetti. E sottende: la letteratura quando fa danni, anche, nei secoli perpetrando l’idea di uomini che nei loro molti errare - nei tanti errores - hanno raccontato la donna come le volevano. Come la immaginavano: domestica, ideale. Mai umana. Ed ecco a cosa serve la buona scuola. «Non siamo sorveglianti del nulla: impariamo con loro. E vedere una classe che si accende grazie a un quotidiano è un’esperienza unica anche per me». Ma crescere ha un costo umano altissimo. Che i ragazzi vorrebbero vedere più raccontato nei giornali: «Certo, le bollette ci toccano. Toccano le nostre famiglie e sono un dramma. Ma noi siamo anche altro. Non solo ragazzi smidollati persi in felpe e telefonini: vogliamo parlare di ambiente, omosessualità, bullismo, i problemi di un sistema scolastico - racconta Chiara - che avrebbe bisogno di sostenerci nelle nostre fragilità dopo il Covid».

Cose che non sempre gli stessi insegnanti raccolgono, sanno farlo: «A volte fanno finta di non vedere, non intervengono quando uno di noi viene bullizzato» aggiunge con coraggio Gaia. È discalculica. E non è l’unica. Le sembra una strada in salita il giornale quando è fitto, pieno zeppo di nero: «Lo vorrei più smart e più semplice nelle cose che dice» suggerisce.

Anche i titoli, aggiungono i suoi compagni, andrebbero asciugati: dall’alto del battito del loro fraseggio quasi rap, abituati come sono a concetti mozzi, sguardi veloci. Infine, suggeriscono, un invito a chi scrive: avere cura delle parole. Cominciare da quelle, non manometterle. Una lezione al contrario.